TikTok, Trump e il K-pop: tra ban, dissenso e politica

TikTok, Trump e il K-pop: tra ban, dissenso e politica

Storia della messinscena non esplicita di uno scherzo

Illustrazione Troll su TikTok

No, ignorare TikTok non è una buona scelta 

Mentre l'ex presidente Donald Trump annunciava il raggiungimento del 1.000.000 di prenotazioni (sui 19.000 posti disponibili) per il comizio del 20 giugno a Tulsa (Oklahoma), si stava svolgendo alle sue spalle la più originale protesta politica in tempi recenti.
Il giorno del rally, infatti, lo Stadio Bok Center appariva semivuoto con soli 6.200 posti occupati. 

Dove erano finiti gli altri 993.800 supporter?

Trump odia TikTok?

Ricostruiamo.
In piena pandemia da Coronavirus e mentre le strade degli USA sono surriscaldate dalla protesta del Black Lives Matter, lo staff di Trump annuncia lo svolgimento del suo incontro con gli elettori a Tulsa. La data scelta, il 19 giugno (poi posticipata al 20), coincide con il Juneteenth, la celebrazione per l’anniversario dell’abrogazione della schiavitù negli USA. Ci sono tutti gli elementi per far esplodere una situazione già incandescente. E Trump decide di ignorare il dissenso.

A questo punto entrano in scena gli utenti del social più popolare tra gli appartenenti alla Generazione Z: TikTok. Anzi, Alt TikTok

Cos’è Alt TikTok? 

Chiamato anche Gay TikTok, Beans TikTok o Elite TikTok, è una community nella community, caratterizzata da contenuti con uno stile specifico, un sottoinsieme spontaneo e informale di utenti, costituito inizialmente da appartenenti alla comunità LGBTQI+, che utilizzavano il social in contrapposizione con gli user del cosiddetto Straight TikTok. Questo si riferiva, quindi, agli utenti eterosessuali in quanto tali, per allargarsi poi agli Zoomer medi e mainstream, per lo più seguaci della musica trap, di cui ballano i brani con atteggiamento da bulli. Tutto ha avuto inizio dal trollare lo straight tiktoker, realizzando video che ricreavano la musica dance in stile Tiktok e mostrando come si sarebbe potuto ballare con quell’atteggiamento da duro praticamente qualsiasi cosa, con chiaro intento denigratorio.

Da qui il trend tutto scherzi e prese in giro, fatto di tributi ironici a serie tv mainstream o di fairy comment, testi che cominciano in modo gentile per poi diventare velatamente aggressivi, con giochi di parole ed emoji, usati soprattutto per esprimere dissenso in codice verso eventi reali.

É un universo fluido di giovanissimi che pubblicano contenuti riconoscibili. Dalle definizioni contenute nell’Urban Dictionary:

L’Alt TikTok accoglie punk, persone che amano la musica e l’arte, dotati di sottile senso dell’umorismo, attitudine alla creatività spontanea e anticonformista, membri della comunità LGBTQI+, goth, emo, fan del K-pop. Sono esclusi (e sono Straight TikTok) l’ufficialità, la rabbia, il lip syncing, la musica commerciale e l’odiatissima trap.

In questo ambiente recettivo agli stimoli anticonformisti, fa breccia l’appello della signora Mary Jo Laupp, nonna 51enne di Fort Dodge nell’Iowa. In un video poi diventato più che virale, la #TikTokGrandma esprime il suo disappunto per il rally trumpiano, programmato proprio per il Juneteenth a Tulsa, la città del massacro razziale del 1921. 

Così sbotta, auspicando che la gente prenoti i biglietti per il comizio per poi non presentarsi, lasciando l'ex Presidente solo con la sua insensibilità.

Il passaparola è immediato: a cogliere l’invito inconsapevole sono i tantissimi alt tiktoker, che postano video tutorial sulle fasi di registrazione per l’evento: nessuna dichiarazione politica, nessuna critica a Trump, solo la messinscena non esplicita di uno scherzo. Molti video sono stati rimossi dopo 24-48 ore, proprio per non rendere evidente la pianificazione, ma il trend si è diffuso anche su Twitter e, in misura minore, su Instagram.

Ps. Ah, nel frattempo, la #TikTokGrandma lavorerà per la “Biden Digital Coalition”, a supporto di Joe Biden, in corsa per il Partito democratico e vincitore alle elezioni presidenziali americane del 2020, con focus speciale su TikTok e Instagram. 

Tiktokers contro Trump: sta succedendo, di nuovo 

Non solo un comizio andato male, ora i tiktoker vogliono danneggiare la user experience dello store online della campagna Trump2020 inserendo tanti prodotti nel carrello per poi abbandonarlo, senza portare a termine l’acquisto: un gesto apparentemente senza senso, ma decisamente (potenzialmente) un bel problema per il team digital di Trump.

Il fenomeno dei troll su TikTok: come agiscono gli utenti? 

Il copione è quello della diffusione dei trend che caratterizza i fan del pop sud coreano, fatta di Zoomer nativi digitali, perfettamente in grado di passarsi informazioni in maniera diretta o cifrata nei codici linguistici dell’Alt TikTok, che hanno contribuito a definire. Dal supporto diretto nella promozione delle nuove uscite video o discografiche dei loro beniamini al supporto alla causa del #blacklivesmatter, sempre con uno scaltro uso dei trend topic. Ad esempio, in occasione del lancio dell’hashtag #whitelivesmatter da parte di esponenti della destra americana, i K-pop fan hanno inondato Twitter e IG con video, meme e gif di BTS, Blackpink, Itzy o Everglow, usando hashtag come #kpopstans e impedendo la visibilità dei post razzisti.

Perché questo inaspettato antagonismo culturale? 

Il K-pop, la musica popolare sud coreana che mescola le influenze dalla moderna musica occidentale, è appunto un genere ibrido: l’occidente reinventato e mixato con eclettica sensibilità orientale. Un genere alternativo al mainstream statunitense, ma sempre leggero e di facile fruizione, quindi, attraente per adolescenti dalla mentalità fluida, che scoprono il mondo attraverso internet. Un genere musicale contaminato che è già un atteggiamento culturale: un cosmopolitismo così semplice e naturale, non può che porsi in contrapposizione con le vedute conservatrici di Trump. Siamo lontani dalla consapevolezza politica, dai proclami e dalle ideologie che abbiamo conosciuto nel Novecento. Stiamo assistendo a nuove modalità nel rapporto tra musica e controculture: addio Woodstock, revolution of love, punk e hip hop. Il melting pot è già realtà e non può essere messo in discussione. 

Abbiamo imparato molto da questo evento. Riconosciamo un valore nuovo e una coscienza politica inedita nei giovanissimi. Intravediamo lo spessore culturale profondo in un genere musicale (il K-pop) apparentemente superficiale, ma portatore di un valore che i più devono ancora scoprire. 

Infine comprendiamo come viaggino sui social media stimoli creativi ben superiori ai semplici video divertenti, quanto impegno scorra nelle aree del disimpegno (possiamo ancora chiamarlo così?) e che se è vero che l’utente indossa il medium, si tratta ormai di un abito cucito su misura. Staremo a vedere quali altre influenze avrà questa volta l’uso dei social media nell’elezione presidenziale statunitense.

Intanto: ok, Zoomer!


*ultimo aggiornamento 09.11.2020